Regressione costituzionale

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Di Gianni Ferrara


Con l’approvazione del Senato in seconda deliberazione si è concluso ieri il procedimento di revisione dell’art. 81 della Costituzione. Male. Un giudizio non tanto distante da quello che si arguiva dalle parole di chi dichiarava, dai banchi della sinistra, un voto più disciplinato che convinto.

Con l’approvazione di tale legge costituzionale, la politica economica è sottratta al Parlamento italiano, al Governo italiano, al corpo elettorale italiano. Con tale approvazione la nostra Costituzione non è più nostra.

È stata trasformata in strumento giuridico funzionale ad un feticcio, quello neoliberista, che la tecnocrazia finanziaria europea interpreterà volta a volta dettando le misure che dispiegheranno la mistica del feticcio.

Con tale approvazione un altro demerito si accompagnerà a quelli sciaguratamente ottenuti dal nostro paese in tema di regimi politici. Il demerito di aver inventato un nuovo tipo di Costituzione. A quelle scritte, consuetudinarie, flessibili, rigide, programmatiche, pluraliste, liberali, democratiche, lavoriste, si aggiungerà la Costituzione abdicataria, una costituzione-decostituzione. Un ossimoro istituzionale che preconizza una recessione seriale che, partendo dalla neutralizzazione della politica, porterà alla compressione dei diritti e poi alla dissoluzione del diritto, sostituito dalla mera forza del dominio economico.
Emerge, improrogabile, la necessità di un intervento. Votando questa autentica regressione costituzionale, i gruppi parlamentari della strana maggioranza delle due camere hanno tenuto in irresponsabile dispregio i giudizi di economisti di molti paesi del mondo, tra i quali 5 premi Nobel, di giuristi di varie discipline. Su un tema così intrinseco alla sovranità popolare, e su cui, e non per caso, è stato stesa una coltre fittissima di silenzio, hanno escluso che potesse pronunziarsi il corpo elettorale. I fondati dubbi sulla legittimità costituzionale della legge elettorale da cui deriva la loro presenza in parlamento non ne hanno frenato la cupidigia di sottomettersi al diktat della Cancelliera tedesca. Hanno respinto anche la richiesta di approvarla pure questa legge, ma non con la maggioranza dei due terzi, quella che impedisce l’indizione di un referendum su tale gravissima spoliazione della sovranità nazionale. Ci resta ora un solo strumento per chiedere a questo o al prossimo parlamento di invertire la rotta.
Un solo modo per impegnarsi nella difesa di una conquista di civiltà arrisa con il riconoscimento, nel secolo scorso, dei diritti sociali. Sono quelli messi per primi in grave ed imminente pericolo dal feticcio liberista. Lo strumento che ci resta è quello di una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare, ai sensi dell’articolo 71 della Costituzione, con cui integrare l’art. 81 in modo che le entrate dello stato, delle regioni e dei comuni siano riservate per il cinquanta per cento ad assicurare direttamente o indirettamente il godimento dei diritti sociali.
Imponendo quindi che nei bilanci di previsione dello stato, delle regioni, dei comuni, il cinquanta per cento della spesa risulti complessivamente destinato a garantire direttamente o anche indirettamente i diritti: alla salute, all’istruzione, alla formazione e all’elevazione professionale delle lavoratrici e dei lavoratori, alla retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro, all’assistenza sociale, alla previdenza, all’esistenza dignitosa ai lavoratori e delle loro famiglie. Si tratta dei diritti riconosciuti dagli articoli da 32 a 38 della Costituzione. Si tratta di creare una garanzia efficace per i diritti, volta sia a neutralizzare gli effetti delle disposizioni inserite nell’articolo 81 della Costituzione e pericolosissime per i diritti sociali, sia a precludere, o almeno a ridurre, la spesa pubblica per armamenti, per grandi e disastrose opere, per variegate clientele. Ad ipotizzarla non è la stravaganza di un vecchio costituzionalista, testardamente convinto della necessità storica della democrazia di pervadere la base economica della società. È contenuta nella Costituzione della Repubblica del Brasile, all’articolo 159 ed è specificata in quelli lo seguono, la riserva di bilancio a favore dei diritti sociali.
Raccogliere cinquanta mila firme e più, tante, tante altre ancora, per sostenere una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare con i contenuti indicati è possibile. È doveroso. A tema centrale della prossima campagna elettorale per il rinnovo del parlamento va posta la garanzia finanziaria dei diritti sociali. Di fronte al pericolo del crollo di un pilastro della civiltà giuridica e politica, dobbiamo usare tutti gli strumenti della democrazia costituzionale che ci sono rimasti. Non possiamo altrimenti.
da Il Manifesto, Mercoledì 18 Aprile 2012

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